La Corte di Cassazione, con sentenza n. 36109/2018, ha stabilito che il marito che riprende in casa la moglie, nuda o seminuda, intenta a prendersi cura della sua persona o all’igiene del corpo, deve essere condannato per interferenza illecita nella vita privata.
La qualità di coniuge, ovvero di soggetto generalmente coinvolto nella vita privata della donna, non esclude, infatti, il delitto se quei momenti di intimità sono indebitamente captati.
Secondo la difesa dell’uomo il delitto sussisterebbe solo quando la condotta intrusiva provenga da un terzo estraneo alla vita privata della persona ripresa e non anche quando provenga da un soggetto ammesso a farne parte, come il coniuge convivente.
Secondo la Suprema Corte oggetto di tutela è la riservatezza domiciliare, quale diritto all’esclusiva conoscenza di quanto attiene alla sfera privata domiciliare.
Risponde, quindi, del reato anche chi predispone mezzi di captazione visiva o sonora nella propria dimora carpendo immagini o notizie attinenti alla vita privata degli altri soggetti che vi si trovino, siano essi stabili conviventi od occasionali ospiti.
Non risponde dello stesso reato colui che condivide con i medesimi soggetti e con il loro consenso l’atto della vita privata.
Il discrimine tra interferenza illecita e lecita non dipende dalla natura del momento di riservatezza violato ma dal fatto che il soggetto attivo vi sia stato o meno partecipe.
Nella fattispecie l’imputato aveva filmato la propria moglie intenta alla cura della propria persona o all’igiene del corpo senza che risultasse in alcun modo che la donna volesse condividere con l’imputato i descritti momenti di intimità.
Egli, dunque, era estraneo alla visione di quelle specifiche attività indebitamente captate ed oggetto di protezione in quanto private.
La condanna va, pertanto, confermata.